Guardo il bar, e mi viene quasi da salutarlo. Mi guardo intorno, osservo le pareti, le decorazioni che sanno di antico. Respiro. Osservo ancora, mentre mi avvio verso le scale che mi porteranno all’uscita. So che questi posti non li rivedrò più, se non durante un'”operazione nostalgia” attentamente pianificata. So, anche, che in questo luogo lascerò una parte di me, perché si è preso una parte di me. E io mi porterò a casa, a mo’ di souvenir, un pezzo di questo posto. Non soltanto la carta di un cioccolatino al caffè, il famoso “chicchetto” offerto a chi, dopo pranzo, si prende un espresso al bar della mensa. Mi porterò a casa un po’ di quest’aria, un po’ di queste decorazioni che sanno di antico. Un po’ di emozioni. Come sempre.
Sono le emozioni a fare la differenza. L’esperienza intellettuale si deposita sul fondo della mente, poi sta a te, di lì in avanti, essere bravo a rovistarvi dentro, a rimettere in movimento quelle nozioni, quel materiale sinaptico, concettuale ma vivido. Le idee cambiano la storia, ma a fare la differenza, sì, sono le emozioni. Sempre. Te le porti dentro, depositate su un altro fondo. Quello dell’anima.
Lascio Ponte Felcino con un groviglio di sensazioni che fatico a mettere in ordine. Qui ho piantato semi potenti, qui ho raccolto frutti dai sapori più diversi. Ricorderò questi luoghi per quel che mi hanno permesso di imparare, e non mi riferisco soltanto all’arte della sceneggiatura. Quelle sono nozioni. Io parlo di un altro fondo. Quello – forse – che stavo per toccare.
Domattina lascerò questa stanza. Ora sono qui, a scrivere le memorie dei questi ultimi “cinque mesi meno uno”. Come se fosse passata una vita. Come se qui ci fosse passata la Vita. In effetti c’è passata. In questa precisa stanza riecheggia il rumore greve delle mie emozioni. Sono qui che rimbalzano sulle pareti. Se i sentimenti fossero fantasmi, il prossimo inquilino della singola dell’appartamento 6 vedrebbe lo spettro di ciò che mi porto dentro. Nuove consapevolezze, nuove vulnerabilità. Domani mi raccoglierò facendo attenzione a non rompermi. Mi caricherò a bordo della mia Punto bianca, quella su cui nessuno avrebbe scommesso un centesimo. “Non superare i 70”, dicevano. “Non puoi sempre fare su e giù, con quelle salite”. La mia Punto bianca è stoica, chi la guida pure. Domani ce ne torneremo a casa insieme. Direzione mare, quello degli orizzonti infiniti. Finalmente. Cambierà il panorama, in attesa di un altro scatto repentino. Verso la grande città. Verso il futuro che sarebbe bello se fosse già un presente. Verso un altro me.
Mentre camminavo fuori dal bar della mensa sono stato assalito da un groviglio di emozioni. Sono un nostalgico, ho il vizio della celebrazione. Detesto gli addii. Non piango, ma li detesto lo stesso. Non lascerò i miei colleghi. Roma sarà la nuova casa per tutti, almeno per un po’. Ma lascerò i posti delle emozioni esagerate, quelli in cui – tra tutto il resto – so di aver amato e di esser stato corrisposto, prima che il destino mi rivelasse che era soltanto un grande scherzo. Un fottutissimo scherzo. Ho lo sguardo già in avanti, ma le emozioni – dicevo -, quelle si sedimentano nell’anima. E l’anima, si sa, non dimentica. L’anima è la vera casa di quel che ci portiamo dentro, di quel che ci portiamo dietro. L’anima è il deposito delle esperienze, di quelle vissute e di quelle tronche. E io ho ancora qualche ora per assaporare l’anima di questo posto, un’oasi in mezzo al nulla. Oggi pomeriggio scriverò, perché è quel che so fare meglio. Scriverò per mettere a punto gli episodi di un nostro progetto di serie. Lo farò tra le fontane, i limoni, gli insetti oversize. Scriverò fiction, ma non ci sarà niente di più vero: le storie prendono sempre spunto da quel che viviamo. Le storie s’interrompono, ma poi ripartono. Assumono altre forme. Questo è soltanto un finale di stagione, e non c’è un vero “cliff”. Il protagonista, però, ha compiuto il suo arco. Il protagonista sta per fare le valigie, pronto per la sua “season 2”.